Promessi sposi

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  1. alaafalwan
     
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    Vabbò,sicuramente qualcuno li starà facendo,cme me e benny...in ogni caso posto qui dei piccoli riassunti dei capitoli che fin'ora ho letto...

    capitolo 1
    Il racconto della vicenda da cui prende le mosse il romanzo prende l'avvio con un'ampia, minuta, realistica, visione del paesaggio in cui si colloca il paese brianzolo dove abitano Renzo e Lucia, i due promessi sposi. Lui è un filatore di seta, orfano di padre e di madre; lei è filatrice in una filanda ma senza continuità di lavoro: vive con la madre vedova. Si dovevano sposare e il matrimonio era fissato per l'otto novembre 1628. Tutto sarebbe andato liscio, se il signorotto locale, doti Rodrigo, non si fosse incapricciato di Lucia e non avesse scommesso col cugino, don Attilio, che in tempi brevi, se ne sarebbe impadronito e l'avrebbe portata al castello. Per questa violenza egli poteva sperare nell'immunità dovuta sia al suo grado sociale sia alla connivenza del potere giudiziario e politico, alleato dei potenti. Bisognava impedire intanto la celebrazione del matrimonio. Per questo il pomeriggio del 7 manda due bravi ad ordinare al curato don Abbondio che quel matrimonio non si deve celebrare. I due bravi si appostano all'angolo di una strada di campagna, percorsa d'abitudine dal curato. Il quale, intimidito, si dichiara pronto ad obbedire. Lo fa perché per temperamento è un pauroso; non era nato con un cuor di leone; ma obbedisce e si rassegna e si fa complice di un gesto di violenza anche perché la società nella quale viveva era violenta, ingiusta e non offriva adeguata protezione contro i soprusi dei potenti ai poveri, ai disarmati, ai miti. A casa dove giunge affannato ed agitato confida ogni cosa alla sua serva Perpetua: serva affezionata e fedele, che sapeva ubbidire e comandare, secondo l'occasione. L'ordine impartito a lei è di non fiatare della cosa con nessuno. Lei dà qualche suggerimento, tra cui quello di avvertire il cardinale. Ma don Abbondio è troppo dominato dalla paura procuratagli da quei bravi e crede che la disobbedienza gli costerà una fucilata. La notte, che trascorre agitatissima, è difatti popolata di bravi e di archibugiate.

    capitolo 2
    Don Abbondio passa una notte agitata tra ricerche di scuse per non celebrare il matrimonio e incubi popolati di bravi e di agguati. Tra il sonno e la veglia egli elabora un piano per superare le prevedibili obiezioni di Renzo e ritardare così le nozze. Per prendere gli ultimi accordi per il matrimonio, Renzo si reca da don Abbondio vestito in gran gala, con un cappello piumato e il pugnale dal manico bello. Il promesso sposo è un giovane di vent'anni, rimasto orfano di ambedue i genitori fin dall'adolescenza. La sua professione, quella di filatore di seta, e i continui risparmi, gli hanno dato una certa tranquillità economica.
    Il curato finge di non ricordarsi del matrimonio, poi, utilizzando termini latini per confondere il giovane, lascia intendere che sono sopravvenuti degli impedimenti che obbligano a ritardare le nozze. Renzo accondiscende allo spostamento, ma rimane insospettito dal comportamento del parroco.
    Uscito dalla canonica Renzo incontra Perpetua e riceve da lei conferma dei propri sospetti: don Abbondio è stato minacciato da qualcuno.
    Renzo torna velocemente nel salotto di don Abbondio. Dopo aver imprigionato il parroco nella stanza, il giovane, con fare apparentemente minaccioso, lo costringe a dirgli la verità. Perpetua rientra e don Abbondio l'accusa di aver infranto il giuramento del silenzio fatto la sera prima. Dopo un acceso battibecco tra i due, il curato si mette a letto vinto dalla febbre. Renzo si dirige nuovamente verso casa di Lucia. Nella sua mente passano fieri propositi di vendetta, ma al pensiero della fidanzata egli abbandona ogni ipotesi violenta. Giunto nel cortile della casa, Renzo incarica una bambina, Bettina, di chiamare in disparte Lucia e di condurla da lui.
    Lucia, orfana di padre e di qualche anno più giovane di Renzo, è acconciata e vestita per le nozze: i suoi capelli neri sono raccolti in trecce fissate con spilloni, indossa un corpetto di broccato con un gonna pieghettata di seta, e attorno al collo porta una modesta collana. Il suo viso giovanile riflette una bellezza interiore.
    Lucia viene messa al corrente delle minacce di don Rodrigo.
    Lucia, circondata dalle amiche, viene raggiunta dalla bambina che le trasmette il messaggio di Renzo. La ragazza scende al piano terreno e Renzo la mette al corrente dell'accaduto, ed ella mostra di essere già a conoscenza della passione di don Rodrigo per lei. Ai due si aggiunge poi Agnese. Lucia sale a congedare le donne dicendo che il matrimonio è rimandato a causa di una malattia del parroco. Alcune di esse si recano alla canonica per chiedere conferma di quella malattia e Perpetua dice loro che don Abbondio ha un febbrone.



    capitolo 3
    Il capitolo si apre con il racconto di Lucia ad Agnese e a Renzo dei suoi involontari incontri con don Rodrigo (questi, infatti, aveva avvicinato Lucia lungo la strada e aveva scommesso con un altro nobile, il conte Attilio, suo cugino, che la ragazza sarebbe stata sua). Lucia rivela poi di aver narrato l'accaduto a fra Cristoforo. Renzo e Agnese, l'uno come fidanzato, l'altra come madre, sono amareggiati dal fatto che Lucia non si sia confidata a loro. Al sentire gli episodi descritti da Lucia, Renzo viene colto da un nuovo attacco d'ira e da propositi di vendetta, ma Lucia riesce a placare le sue nuove ire.
    Agnese consiglia poi al giovane di recarsi a Lecco, da un avvocato soprannominato Azzecca-garbugli e gli consegna quattro capponi da portare in dono al dottore. Renzo si mette dunque in cammino verso Lecco. Lungo la strada, agitato e incollerito, dà continui strattoni ai capponi che ha in mano: le povere bestie, pur accomunate da un triste destino, si beccano tra loro. Ciò dà l'occasione all'Autore per riflettere sulla mancanza di solidarietà tra gli uomini, anche quando questi sono accomunati dalle sventure ("i quali intanto s'ingegnavano a beccarsi l'una con l'altra, come accade troppo sovente tra compagni di sventura").
    Giunto alla casa dell'Azzecca-garbugli e consegnati i capponi a una serva, Renzo viene fatto accomodare nello studio: uno stanzone disordinato, polveroso e un po' decadente in cui spiccano, alle pareti, i ritratti degli imperatori romani, simbolo del potere assoluto. Il dottore lo accoglie indossando una toga consunta che lo fa apparire decrepito quanto i mobili della stanza. Azzecca-garbugli scambia Renzo per un bravo e, per intimorirlo, legge confusamente una grida che annuncia pene severissime per chi impedisce un matrimonio. Ha qui inizio il tragicomico equivoco tra Renzo e l'Azzecca-garbugli che, credendo che il giovane si sia camuffato tagliandosi il ciuffo che contraddistingue i bravi, si complimenta con lui per la sua astuzia. A questo proposito, l'Autore non perde l'occasione per sottolineare ancora una volta l'ottusità della macchina burocratica spagnola, e ci propone frammenti di gride in cui si vieta addirittura di portare il ciuffo. Renzo nega di essere un bravo, ma l'avvocato non gli crede e lo invita a fidarsi di lui, prospettando poi una linea di difesa. Scoperto l'equivoco, Azzecca-garbugli si infuria e rifiuta ogni aiuto, mettendolo infine alla porta, poiché colpevole di un crimine all'epoca gravissimo: essere vittima, e per di più senza appoggi nobiliari. Intanto Lucia e Agnese si consultano nuovamente tra loro e decidono di chiedere aiuto anche a fra Cristoforo. In quel momento giunge fra Galdino, un umile frate laico, in cerca di noci per il convento di Pescarenico, lo stesso dove vive il padre Cristoforo.
    Per eludere le domande del fraticello circa il mancato matrimonio si porta il discorso sulla carestia; Galdino racconta allora un aneddoto riguardante un miracolo avvenuto in Romagna. Lucia dona a fra Galdino una gran quantità di noci affinché egli, non dovendo continuare la questua, possa recarsi subito al convento ed esaudire la sua richiesta di inviare presso di loro fra Cristoforo. A questo punto il Manzoni ci tiene a precisare che, nonostante fra Cristoforo avesse a che fare con la gente umile, era un personaggio "di molta autorità, presso i suoi, e in tutto il contorno" e approfitta dell'occasione per un excursus sulla condizione dei frati cappuccini nel Seicento. Renzo fa quindi ritorno alla casa di Lucia e racconta il pessimo risultato del suo colloquio con Azzecca-garbugli. Tra Renzo e Agnese si accende una piccola discussione, subito placata da Lucia, circa la validità del consiglio di rivolgersi all'avvocato. Dopo alcuni sfoghi di Renzo ed altrettanti inviti alla calma da parte delle donne, il giovane torna a casa propria.



    capitolo 4
    Fra Cristoforo esce dal convento del paese di Pescarenico, un piccolo villaggio di pescatori nei pressi di Lecco.
    Sebbene il paesaggio autunnale sia splendido, il cammino del frate verso casa di Lucia è rattristato dalle immagini di miseria che si vedono ovunque: persone smunte, animali smagriti dalla fame, mendicanti laceri.
    Un uomo vicino ai 60 anni, dalla lunga barba bianca, umile ma fiero al tempo stesso, con due occhi vivacissimi.
    Lodovico (questo è il nome di fra Cristoforo prima di prendere i voti), figlio di un ricco mercante con ambizioni da nobile, viene educato in maniera aristocratica. Non essendo però accettato nella cerchia dei nobili, il giovane inizia, quasi per vendetta, a difendere gli umili contro i signorotti prepotenti.
    Un giorno per strada, scoppia una disputa per futili motivi tra Lodovico ed un nobile arrogante.
    Nel corso della disputa che ne segue, il giovane, vedendo gravemente ferito Cristoforo, il suo più fedele servitore, uccide il signorotto.
    Lodovico viene condotto dalla folla nel vicino convento dei frati cappuccini, affinché possa trovare riparo dalla vendetta dei parenti dell'ucciso.
    Questi intanto circondano il convento al fine di colpire l'uccisore alla sua uscita.
    Durante la sua permanenza in convento Lodovico matura la decisione di farsi frate. Dona tutti i suoi beni alla famiglia del servo Cristoforo che era morto per lui e assume il nome di fra Cristoforo. Intanto il padre guardiano del convento convince il fratello del nobile ucciso ad accettare come rivalsa la scelta monacale di Ludovico. Prima di partire per il luogo del suo noviziato, fra Cristoforo chiede ed ottiene di domandare scusa alla famiglia dell'ucciso.
    In casa del nobile vengono convocati tutti i parenti per assaporare la vendetta, ma con il suo contegno umile, fra Cristoforo ottiene un sincero perdono da tutti e induce i presenti a mitigare la loro superbia.
    Quale segno di riconciliazione il fratello dell'ucciso dona un pane al frate; questi, mangiatane una metà, conserverà il resto quale ricordo dell'accaduto.
    Oltre a predicare e assistere i moribondi, fra Cristoforo opera per rimuovere le ingiustizie e per difendere gli oppressi. Intanto il frate, giunto alla casa di Lucia e Agnese, viene accolto con gioia dalle due donne.



    capitolo 5
    Dalle informazioni ottenute da Agnese sul pesante intervento intimidatorio di don Rodrigo, padre Cristoforo sa tutto ormai; ma non avendo altre armi che quelle della religione, decide di affrontare il prepotente nel tentativo di dissuaderlo in nome dei principi morali e religiosi dal proposito di rapire Lucia. Dalla casa di Lucia il tratto di campagna che attraversa è per il frate motivo di costernazione: dappertutto i segni della carestia, il palazzotto del signorotto, segno di forza e di potenza, sorge tetro sulla cima di un poggio quasi come minaccioso custode della gente disseminata nei paesi sottostanti. Per il formale (anche i prepotenti sono ipocritamente pronti a rendere omaggio agli uomini di religione) ossequio che gli si deve in quanto cappuccino, padre Cristoforo non solo è introdotto nel palazzo, ma addirittura ammesso alla sala da pranzo dove don Rodrigo banchetta con alcuni ospiti: c'è il cugino Attilio, più vivace che mai, il podestà di Lecco, l'Azzeccagarbugli e altri uomini di minore rilievo. Si discute in modi frivoli di un argomento violento: dei duelli, sui quali si chiede, dato il contrasto di opinioni tra gli ospiti, il parere del frate. Questi riconferma come inalienabile la legge evangelica della non violenza. Altro argomento, questa volta politico, è quello della guerra tra Francia e Spagna scatenata in conseguenza della mancanza di un erede diretto nel ducato dì Mantova. La Francia sostiene un Gonzaga da tempo trasferitosi al di là delle Alpi e fattosi francese: altro è il candidato della Spagna. La guerra da quei loro discorsi appare come una partita di scacchi ingaggiata da due abili giocatori: da un lato il cardinale Richelieu, dall'altro il conte duca, che i commensali servilmente dicono grande ministro del re di Spagna. Alla fine si sfiora anche l'argomento della carestia. Per loro non esiste: è solo il risultato malefico dell'intervento dei fornai che imboscano la farina per ottenerne prezzi più alti. Se si dovesse giudicare della nobiltà lombarda del Seicento da questi rappresentanti accolti intorno ad una tavola, li si dovrebbe dire non solo cinici e perversi, ma insensibili e intelligenti. Ad un certo momento don Rodrigo che mal sopporta la vista di quel frate concentrato e silenzioso si decide a dargli udienza.

    capitolo 6
    Con tatto e diplomazia, fra Cristoforo chiede a don Rodrigo di far cessare le persecuzioni contro Lucia e di permettere il matrimonio tra i due promessi. Il nobile reagisce però violentemente accusando il frate di nutrire un equivoco interesse per la ragazza. Il colloquio si trasforma così in un duello verbale nel quale Cristoforo predice al suo antagonista il compiersi della giustizia divina (verrà un giorno).
    Al termine il frate viene cacciato. La sua missione è fallita, ma don Rodrigo rimane scosso dalle minacciose profezie del cappuccino.
    Uscendo dal palazzotto per andare verso casa di Lucia, il frate incontra il vecchio servitore che l'aveva accolto al suo ingresso. Quest'ultimo dice a fra Cristoforo di avere delle rivelazioni da fargli e gli dà appuntamento per l'indomani al convento.
    Agnese propone ai due promessi, di effettuare il matrimonio di sorpresa, di presentarsi cioè davanti al parroco con due testimoni e di pronunciare la formula del matrimonio. Sebbene celebrato contro la volontà del parroco, questo matrimonio avrebbe valore a tutti gli effetti. Renzo si mostra entusiasta, ma Lucia è contraria al progetto poiché esso prevede dei sotterfugi.
    Renzo, in cerca dei testimoni per il matrimonio di sorpresa, si reca a casa di Tonio. Quando vi giunge, l'intera famiglia (Tonio, il fratello, l'anziana madre, la moglie e i figli) è riunita in attesa di una scarsa polenta. Renzo, rifiutando l'invito a trattenersi, conduce l'uomo all'osteria e lì gli chiede di far da testimone al matrimonio. In cambio del favore, Renzo gli offre del denaro per pagare un debito contratto con don Abbondio. Tonio accetta e propone suo fratello Gervaso come secondo testimone.
    Renzo torna da Lucia e tenta nuovamente di convincerla ad accettare il "piano" della madre. Nel frattempo si avvertono i passi di fra Cristoforo, giunto per riferire gli esiti del colloquio con don Rodrigo.



    capitolo 7
    Fra Cristoforo comunica ad Agnese e ai due promessi che, malgrado il suo intervento, don Rodrigo non intende cambiare atteggiamento. Renzo reagisce con rabbia. Uscendo, il frate raccomanda di inviare qualcuno al convento il giorno successivo, per avere nuove informazioni. Renzo, irritato dalle notizie appena ricevute e dall'opposizione di Lucia al progetto di matrimonio di sorpresa, dà in escandescenze. Alla fine Lucia cede e accondiscende al piano della madre. Renzo rincasa.
    Agnese e Renzo stabiliscono i dettagli del piano di matrimonio di sorpresa, mentre Lucia resta in disparte. Seguendo le indicazioni di fra Cristoforo, Agnese invia poi al convento Menico, un ragazzino suo parente.
    Per tutta la mattinata, dei loschi figuri vestiti da viandanti e da pellegrini si aggirano nelle vicinanze della casa di Lucia, curiosando anche all'interno dell'abitazione.
    Dopo lo scontro con padre Cristoforo, don Rodrigo, furibondo per non esser riuscito ad intimorire il frate e turbato per quel Verrà un giorno, cammina per il palazzo al cospetto dei ritratti dei suoi avi, che sembrano rimproverarlo per la sua debolezza.
    Per dimenticare l'episodio il nobile esce, scortato dai bravi, per una passeggiata trionfale, durante la quale egli viene ossequiato da tutti. Tornato al palazzotto, egli viene però deriso dal conte Attilio; risentito, raddoppia allora la posta dell'infame scommessa.
    Dopo una notte di sonno tranquillo, don Rodrigo, dimenticati i timori suscitati in lui da fra Cristoforo, predispone con il capo dei suoi bravi, il Griso, un piano per rapire Lucia. I bravi, guidati dal Griso, cominciano le loro ricognizioni in casa di Lucia (gli strani figuri visti nella casa sono i bravi travestiti).
    Tornati al palazzotto, il Griso dà le ultime istruzioni ai suoi compagni. Il vecchio servitore si avvia alla volta del convento per riferire al frate circa il previsto rapimento di Lucia. Nel frattempo alcuni bravi hanno già occupato le posizioni concordate ed altri si avviano a farlo.
    Dopo aver preso con Agnese e Lucia gli ultimi accordi per il matrimonio di sorpresa, Renzo, assieme a Tonio e a Gervaso, si reca all'osteria e qui incontra tre individui (sono tre bravi di don Rodrigo) dal comportamento minaccioso. Renzo, durante la cena, chiede all'oste informazioni sui tre, ma l'oste finge di non conoscerli; al contrario, egli fornisce ai bravi diverse notizie su Renzo e i suoi amici.
    Usciti dall'osteria, Renzo, Tonio e Gervaso, vengono seguiti da due bravi, che si arrestano però, vedendo arrivare gente di ritorno dai campi. I tre passano poi a chiamare Agnese e Lucia e insieme si recano alla canonica, dove Tonio bussa alla porta dicendo a Perpetua di voler saldare un debito.


    capitolo 8
    Quella sera don Abbondio stava gustando un po' di tranquillità dopo le agitazioni dei due giorni precedenti, era immerso nella lettura di un libro e aveva incespicato nel nome di un filosofo greco di cui nulla sapeva. A questo punto Perpetua annuncia la visita di Tonio e Gervasio: Tonio voleva pagare il debito che aveva col curato e ottenere il pegno da togli. L'ora era tarda, ma era bene profittare dell'occasione: Tonio quei soldi poteva sciuparli nell'osteria. Da questo pensiero indotto don Abbondio, nonostante la diffidenza, lo lascia entrare ed ammette nello studio. Dietro, ma lui non se ne avvede, ci sono Renzo e Lucia: Agnese si è portata via Perpetua attirandola con l'argomento, per Perpetua sempre molto sensibile, del mancato matrimonio con uno dei tanti pretendenti. Quando don Abbondio alza la testa per consegnare la Polizza a Tonio, si vede davanti Renzo e Lucia: Renzo riesce a pronunciare la formula: non vi riesce Lucia travolta dal tappeto del tavolino che il curato le scaglia addosso. La confusione ora è generale: la candela è caduta per terra e s'è spenta: tutto è nel buio e nel buio i due promessi cercano di guadagnare la porta, Tonio di riprendersi la ricevuta, e Gervasio di uscire dal marasma creandone altro. Dalla stanza attigua dove s'è barricato il curato invoca l'aiuto del campana io Ambrogio, il quale improvvisamente destato suona a martello le campane svegliando il paese e sollecitandone l'aiuto contro il misterioso nemico. Intanto Menico torna a casa dal convento e quando si avvicina alla casa di Agnese è bloccato dai bravi di don Rodrigo, che erano penetrati nella casa ma l'avevano trovata vuota. A questo punto comincia il suono delle campane: ritenendosi scoperti i bravi fuggono. Scappano anche Renzo e Lucia: scappa verso il curato Perpetua e dietro le è Agnese. Il paese è in preda ad una grande agitazione: don Abbondio invita tutti a tornare a casa: il pericolo è finito. Menico sfuggito ai bravi informa Agnese, Lucia e Renzo che in casa ci sono i bravi: seguano il consiglio di padre Cristoforo che li attende nella chiesa del convento. Lucia ed Agnese si recheranno con una sua lettera di raccomandazione a Monza: saranno ospitate in un convento; Renzo con altra lettera si recherà a Milano presso il convento dei cappuccini. Comincia così il viaggio di dispersione dei tre.



    capitolo 9
    I tre fuggitivi approdano sulla sponda del lago opposta a Pescarenico e si accomiatano dal barcaiolo che li aveva trasportati.
    Guidati poi da un barocciaio, i tre giungono fino a Monza su di un carro. Qui possono riposarsi e rifocillarsi in una locanda. Dopo un breve pasto Renzo dà l'addio alle due donne. Sempre sotto la guida del barocciaio, le due donne si recano prima al convento dei cappucini e poi, accompagnate dal padre guardiano, al monastero di monache nel quale sperano di trovare ospitalità. Il frate chiede per loro la protezione di Gertrude, una suora di nobile e potente famiglia. La giovane monaca ha circa venticinque anni e il suo viso mostra una bellezza sfiorita. Il suo atteggiamento e il suo modo di indossare il saio hanno qualcosa di strano.
    Gertrude interroga le due donne e il padre guardiano a proposito delle vicende di Lucia. Al termine del colloquio concede ospitalità ad Agnese e Lucia.
    Viene descritta la famiglia di Gertrude e la regola in essa vigente, secondo la quale, tutti i figli, ad esclusione del primogenito, dovevano entrare in convento.
    Fin dalla prima infanzia, i genitori e i parenti di Gertrude cercano, anche con subdoli espedienti, di inculcarle l'idea della vita consacrata.
    L'infanzia e l'adolescenza di Gertrude trascorrono nel convento di Monza, dove viene educata in vista di una sua futura scelta monacale. Nei suoi rapporti con le compagne la bambina manifesta la sua innata superbia, ma anche i primi cenni di rifiuto della vita religiosa.
    Prima di prendere definitivamente i voti. Gertrude è ricondotta nella casa paterna. Qui viene trattata con indifferenza ed isolata al fine di metterla a disagio e di farle desiderare il convento. Scoperto il suo innamoramento per un paggio, Gertrude viene imprigionata in una stanza: per uscire da quella segregazione, ella si dichiara disposta a scegliere la vita consacrata.



    capitolo 10
    Quando Gertrude, cinicamente sottoposta ad un'autentica tortura psicologica, avverte che per lei non c'è posto nella sua casa ed esprime in termini poco chiari il proposito di tornare in convento) la cosa è accolta con grande entusiasmo dalla famiglia. Con estrema rapidità si sfrutta il momento. Portata in convento fa domanda di essere definitivamente accolta nel monastero. C'è una prova da superare: Gertrude deve sostenere un esame con il padre guardiano che deve stabilire che la decisione è autenticamente spontanea e libera e non condizionata da pressioni esterne. Gertrude non ha il coraggio di dire la verità e tra grandi festeggiamenti si trova suora per sempre. Vittima del sopruso, della frode, del ricatto, come non seppe perdonare, così non seppe cercare nella fede le grandi consolazioni che si concedono a tutti gli infelici. Continuò a rammaricarsi con se stessa, ad avvertire le suore come strumenti dell'inganno, a vedere dappertutto una realtà sociale da cui era esclusa e che l'esclusione contribuiva a rendere gradevole, anzi veramente felice. La sua vita di suora conosce l'altalena delle passività e delle ribellioni, l'insoddisfazione e la ricerca di una persona a cui appoggiarsi e in cui trovare fiducia. Non certo le dava se non provvisorie consolazioni il sapersi di grande famiglia, come anche i privilegi di cui godeva nel convento. La sua vita mutò radicalmente, quando cedendo alle pressioni e alla corte di un giovane scellerato, Egidio, che abitava accanto al convento, si lasciò da lui sedurre divenendone l'amante. Per un po' una sorta dì gioia le diede l'illusione di aver trovato ciò che cercava. A volte però cadeva in stati d'animo di prostrazione e di abbattimento. Ma scivolò via via dal peccato al delitto. Un giorno una suora conversa minacciò di rivelare ai superiori la tresca amorosa: poco dopo scomparve. Era stata uccisa da Egidio e sepolta vicino al convento. È passato un anno dopo questi fatti, quando Lucia bussa alla porta del convento, si raccomanda alla generosità della suora cui era dato il titolo distintivo di "signora" e viene accolta nel monastero

    capitolo 11
    Don Rodrigo, attendendo con inquietudine il ritorno dei bravi, pensa alle possibili conseguenze del rapimento di Lucia, ma sa di non correre grossi rischi.
    Al suo ritorno, Griso annuncia il fallimento della spedizione e riceve severi rimproveri da Don Rodrigo. Dopo aver discusso dei fatti della nottata, i due concordano una strategia per scoprire se vi siano state fughe di notizie sul progetto di rapimento. Il conte Attilio viene informato dal cugino del fallito rapimento di Lucia e attribuisce la responsabilità a fra Cristoforo. I due cugini stabiliscono poi di intimorire il console del villaggio, di convincere il podestà a non intervenire, e di far pressioni sul Conte zio, affinché faccia trasferire il frate.
    Il Griso si reca in paese per cercare di comprendere ciò che è successo la notte precedente. Nel villaggio c'è un fitto intrecciarsi di voci: tutti i protagonisti di quei fatti turbolenti commentano l'accaduto. Il bravo riferisce al padrone quelle voci e insieme escludono l'ipotesi di una spia interna al palazzotto. Al termine del colloquio, don Rodrigo incarica il proprio uomo di fiducia di scoprire dove si sono rifugiati Renzo e Lucia. Grazie alle chiacchiere del barocciaio, passate di bocca in bocca, il bravo è in grado di informare il suo signore che Lucia si trova a Monza. Il nobile incarica allora il sicario di proseguire là le ricerche: il Griso, che proprio in Monza è maggiormente ricercato dalla giustizia, cerca di sottrarsi, ma alla fine obbedisce agli ordini. Renzo, colmo di tristezza per la separazione da Lucia e per la partenza dal paese, procede verso Milano. Giunto alle porte della città chiede ad un passante indicazioni per raggiungere il convento cui è destinato.
    Entrato in città, il giovane scopre con sorpresa della farina e del pane gettati a terra. Pur con timore raccoglie tre pani. Proseguendo poi verso il centro della città, incontra parecchia gente che trasporta affannosamente pane e farina. Viene colpito dalla vista di una famigliola particolarmente impegnata nel trasporto. Il giovane comprende finalmente che è in atto una rivolta e che la gente sta dando l'assalto ai forni: la sua prima sensazione è di piacere. Renzo decide di star fuori dal tumulto e si reca al convento, ma il frate portinaio gli nega l'ingresso. Il giovane va così a curiosare tra la folla e si lascia attrarre dal tumulto.



    capitolo 12
    Il capitolo si apre con un'ampia digressione storica nella quale si analizzano le ragioni della carestia: raccolti scarsi, sprechi, pressione fiscale.
    Il cancelliere Antonio Ferrer adotta un provvedimento molto criticato dal Manzoni: stabilisce per il pane un prezzo un prezzo troppo basso, il quale quasi non consente l'acquisto delle materie prime. Il prezzo del pane viene aumentato e comincia a farsi sentire il malumore del popolo. La folla blocca il garzone di un panettiere e lo deruba della cesta del pane: prende così avvio il tumulto di San Martino. La massa si dirige poi verso il forno "delle grucce" e, malgrado l'intervento degli alabardieri e del capitano di giustizia, dopo un breve assedio, dà l'assalto al forno stesso rubando pane, farina, denaro e distruggendo ogni cosa. Renzo, incuriosito da tutto quel movimento, si muove inconsapevolmente verso il cuore del tumulto ascoltando i pareri contrastanti dei presenti. Mentre il giovane assiste alla distruzione del forno e critica, dentro di sé, tutta quella furia, giunge la notizia di nuovi disordini al Cordusio.
    La folla si dirige là, passando sotto la statua di Filippo II, la quale offre all'Autore lo spunto per alcune riflessioni sui simboli del potere. La voce si rivela però falsa e la massa, inferocita e delusa, decide di dar l'assalto alla casa del vicario di provvisione, ritenuto responsabile della scarsità di cibo. Renzo, pur non volendo farsi coinvolgere nella rivolta, viene vinto dalla curiosità e si lascia trascinare dalla folla.



    capitolo 13
    La folla si dirige verso il palazzo del vicario. Quest'ultimo, aiutato dai servi, riesce a barricarsi in casa e a nascondersi in uno stanzino.
    Alcuni rivoltosi tentano di scardinare e smurare la porta del vicario per catturarlo e ucciderlo e ciò sotto gli occhi dei soldati spagnoli, i quali non osano intervenire. Renzo, al centro del tumulto, è tra coloro che si oppongono a una giustizia sommaria. Per questo, dopo aver reagito con sdegno alle proposte sanguinarie di un vecchio, rischia il linciaggio. Dal fondo della piazza fa la sua apparizione il gran cancelliere Antonio Ferrer, il quale, forte del sostegno popolare, interviene per salvar la vita del vicario. Nella folla si creano due fazioni, l'una favorevole e l'altra ostile all'intervento di Ferrer; ciò offre all'Autore lo spunto per una riflessione sui meccanismi delle rivolte popolari . Il cancelliere procede in carrozza attraverso la piazza gremita di gente. Alcuni, tra cui Renzo, si adoperano affinché egli possa avanzare, ma il cocchiere, ostentatamente cortese, è costretto a continue fermate. Ferrer promette alla folla di arrestare il vicario e di abbassare nuovamente il prezzo del pane, ma il lettore comprende che le sue promesse non verranno mantenute. Ferrer riesce infine ad entrare nel palazzo del vicario e a trarre in salvo quest'ultimo. Fattolo poi salire sulla propria carrozza, si dirige verso il "castello" continuando a blandire la folla. Scampato il pericolo di un linciaggio Ferrer comincia a temere per le reazioni dei propri superiori, mentre il vicario, ancora molto spaventato, annuncia di volersi ritirare in un grotta.
    vicario aveva cominciato a sentire le conseguenze della sommossa. sulla sua tavola non era arrivato il pane fresco e lui stava facendo una digestione agra e stentata. D 'un tratto sente venire delle voci, poi la voce possente della folla che si muove con il ritmo di un torrente inarrestabile. I servitori provvedono a chiudere porte e finestre e a barricarsi in casa: il vicario, preso da paura, si raccomanda a tutti e crede di trovare salvezza in soffitta. Renzo che, ormai, è entrato dentro la psicologia della folla e si accorge che questa si muove per una richiesta di giustizia, parteggia per essa, ma non è d'accordo quando sente alzarsi delle voci che chiedono la morte del vicario. E ad alta voce dice la sua disapprovazione: scambiato per un partigiano dei vicario, si sottrae alla folla solo perché l'attenzione generale è attratta dalla voce che dice che sta per arrivare il cancelliere Ferrer, l'amico del popolo: viene, dicono, a portare in carcere il vicario. Ferrer si affaccia agli sportelli della carrozza distribuendo sorrisi e gesti affettuosi di saluto: a tutti dà ragione, al cocchiere in spagnolo consiglia fretta e prudenza. Renzo che, dalla folla, ha saputo che Ferrer è l'uomo della giustizia, un uomo che va bene anche per lui che ha subito da poco una grave ingiustizia, si dà da fare per creare spazio alla carrozza di Ferrer. Si trova a lui vicino, recita la parte del protagonista, fa da battistrada. Ferrer, giunto alla porta del palazzo del vicario, si fa aprire e senza che la gente s'avveda fa entrare nella carrozza il vicario ed inizia il viaggio di ritorno. Stavolta le cose vanno più rapidamente: i sorrisi si sprecano, la folla è più che mai certa che le cose stanno per cambiare. L'angoscia è tutta concentrata nel vicario che, in fondo alla carrozza, dice che vuoi tirarsi via dalla politica per andare a vivere in una montagna, in una grotta, a far l'eremita.



    capitolo 14
    La folla ora non è più compatta: si dirada e si ricompone in piccoli capannelli a commentare e a prevedere. Si parla dell'accaduto, delle ragioni che vi stanno sotto, si manifestano propositi di ritorno per il giorno seguente. Renzo che per la nuova e straordinaria esperienza vissuta in quelle ore vive come in una sorta di eccitazione, quasi di ubriachezza, al centro di un crocchio prende la parola e dal fatto milanese risale al fatto personale: parla ad alta voce di ingiustizia, di prepotenze di certi tiranni, del tutto dissimili da Ferrer, manifesta propositi di vendetta e di pulizia, avanza la proposta del tutto rivoluzionaria dell'alleanza di tutto il popolo per la restaurazione della giustizia. Tutti applaudono. Ma ormai è buio: la gente si dispone a tornare a casa. Renzo da uno che gli si è messo alle costole e che gli si dimostra premuroso (è un informatore della polizia) si fa accompagnare in una trattoria vicina: li può mangiare e dormire. A tavola lo sbirro cerca di farlo parlare e di fargli dire nome e cognome: non c'era riuscito l'oste. Ma lui lo fa cadere in un tranello, favorito anche dal fatto che Renzo da uno stato di esaltazione passa, per il molto vino che beve, ad uno stato di effettiva ubriachezza. Sproloquia e nelle sue parole in modi oscuri ed incerti torna l'immagine di don Rodrigo, il persecutore, l'ingiusto e prepotente tiranno che lo ha indotto alla fuga dal suo paese. Finalmente l'oste riesce a portarlo in camera e a buttarlo sul letto.



    capitolo 15
    Renzo, ormai completamente ubriaco, abbandona la sala dell'osteria, tra saluti e risa. Accompagnato e sorretto dall'oste raggiunge poi la camera che gli è stata destinata.Giunto in camera, l'oste tenta nuovamente di far declinare a Renzo le proprie generalità, ma alle nuove proteste di quest'ultimo rinuncia. Fattosi poi pagare il conto, l'albergatore lascia la stanza del giovane, il quale, intanto, si è addormentato.
    L'oste decide di andare al palazzo di giustizia per denunciare Renzo e, dopo molte raccomandazioni, affida la cura dell'osteria alla moglie. Camminando lungo le strade di Milano, si imbatte in personaggi dall'aria fosca e in drappelli di soldati. Inizia così un lungo soliloquio, durante il quale, alle espressioni di disappunto per quell'uscita fuori programma, si mischiano considerazioni di tipo politico. Arrivato al palazzo di giustizia, l'oste denuncia al notaio criminale la presenza, nella sua osteria di un giovane che non ha voluto rivelare le generalità. Il funzionario, che ha già ricevuto il rapporto del delatore e che conosce già il nome di Renzo, mostra però di non accontentarsi delle informazioni fornite dal padrone dell'osteria e sottopone l'uomo ad un serrato interrogatorio.
    Il notaio criminale e due birri penetrano nella camera di Renzo e gli ingiungono di seguirli. Intimorito dal rumore che viene dalla strada e che sembra annunciare nuovi tumulti, il notaio abbandona subito l'atteggiamento autoritario e, con le buone, cerca di indurre Renzo a seguirli. Il funzionario si mostra eccessivamente gentile ed afferma che si tratta di una pura formalità, ma il giovane non gli presta fede e comincia ad elaborare un piano per far intervenire la folla a suo favore.
    Scesi in strada, i due birri danno una stretta alle manette di Renzo, il quale, con un grido di dolore, richiama l'attenzione dei passanti. Approfittando della piccola folla che si è formata attorno al gruppetto, il giovane chiede aiuto. Per sfuggire al linciaggio, i birri e il notaio, abbandonano il prigioniero e si confondono tra la folla. -righi



    capitolo 16
    Renzo sfugge ai birri e, rifiutando l'ipotesi di chiedere asilo in un convento, corre via cercando di uscire dalla città e dallo stato. Non sapendo orientarsi, Renzo, dopo aver esaminato attentamente alcuni passanti, chiede informazioni ad uno di essi che gli ispira fiducia. Il giovane attraversa Milano e, superando con indifferenza un presidio di soldati, esce dalle mura diretto al paese nel Bergamasco dove vive Bortolo.
    Renzo si allontana da Milano, ma, per il timore di percorrere le strade principali, e per il desiderio di non attirare su di sé sospetti chiedendo informazioni, sbaglia più volte direzione. Durante il suo cammino egli ripensa ai fatti del giorno precedente ed esamina la sua situazione. Giunto ad un'osteria isolata, il giovane pranza. Con uno stratagemma, egli riesce poi a farsi indicare, dalla vecchia ostessa, la strada per il confine.
    Verso sera, Renzo arriva nel paese di Gorgonzola, vicino al confine, e qui cena in un'osteria. Cerca, senza esito, di ottenere dall'oste delle indicazioni sul percorso da seguire per attraversare l'Adda e passare nella Repubblica veneta. Viene poi avvicinato da un cliente che gli chiede se egli venga da Milano e se abbia informazioni sulla rivolta: Renzo fornisce risposte evasive. Al gruppo degli avventori, si aggiunge poi un mercante milanese. Si tratta di un conservatore, metodico e nemico di ogni disordine, che dà una propria personale versione degli avvenimenti. In particolare, egli dice che i capi della rivolta sono stati tutti arrestati, tranne uno che, fermato in un'osteria, è riuscito a fuggire. Il riferimento alla vicenda di Renzo è evidente.
    Temendo di cadere nuovamente nelle mani della giustizia, Renzo lascia l'osteria di Gorgonzola e va, quasi istintivamente, verso l'Adda.



    capitolo 17
    Uscito dall'osteria di Gorgonzola, Renzo prosegue il suo cammino nell'oscurità, lungo le strade che, secondo il suo senso dell'orientamento, dovrebbero condurlo all'Adda. Durante il tragitto, i suoi pensieri vanno al mercante e al suo resoconto distorto e calunnioso. Dopo aver oltrepassato alcuni paesi ed aver scartato l'ipotesi di chiedere ospitalità, Renzo si inoltra in una zona non coltivata e poi in un bosco. Qui viene colto da un oscuro timore, ma, proprio quando sta per tornare sui suoi passi, sente il rumore dell'Adda e si precipita verso il fiume.
    Non potendo attraversare il fiume, né potendo passare la notte all'aperto, a causa del freddo, Renzo si rifugia in una capanna abbandonata. Dopo aver recitato le preghiere della sera, il giovane tenta di addormentarsi, ma alla sua mente si affacciano ricordi dolorosi.
    Verso le sei del mattino successivo, Renzo, sullo sfondo di una magnifica aurora, riprende il cammino verso l'Adda. Traghettato da un pescatore passa sulla sponda bergamasca del fiume; di qui, il giovane procede a piedi verso il paese del cugino.
    Renzo pranza all'osteria. Terminato il pasto, dona le ultime monete che gli sono rimaste a una famiglia ridotta, dalla fame, a mendicare; l'episodio gli offre lo spunto per alcune riflessioni sulla Provvidenza.
    Giunto nel paese di Bortolo, Renzo individua immediatamente il filatoio e lì trova il cugino, il quale lo accoglie festosamente, dichiarandosi disposto ad aiutarlo, sebbene i tempi non siano dei più propizi. I due cugini si informano reciprocamente sulla rispettiva situazione e sulle vicende politiche dei propri paesi. Dopo essere stato avvertito dell'uso bergamasco di chiamare baggiani i milanesi, Renzo viene presentato al padrone del filatoio e assunto come lavorante.
    che si sa ricercato, Renzo non se la sente di passare per la via maestra. Il suo timore è che sbirri siano stati disseminati per la strada alla ricerca di presunti delinquenti. Prende una strada di campagna. Cammina anche la mente che riepiloga gli ultimi avvenimenti e si ferma in particolare sul racconto del mercante, dalle cui parole lui usciva dipinto come un congiurato pericoloso, al servizio di potenze straniere. E, intanto, con le tenebre protettive e difensive aumenta l'ansia: Renzo comincia ad avvertire la stanchezza; non può avvicinarsi alle case isolate da cui vede filtrare la luce. Può essere ritenuto un malvivente. Anche i cani gli abbaiano contro. C'è un momento in cui, confuso tra l'intrico della vegetazione, ha un attimo di smarrimento e sta per essere preso dalla disperazione. Ma in quel momento sente la voce delle acque del fiume: è l'Adda. La notte la trascorre in una capanna abbandonata che aveva intravisto prima: vi si accomoda e il suo pensiero corre a padre Cristoforo, ad Agnese ed in particolare a Lucia, la creatura che lo aiuta e lo sorregge nel travaglio. La mattina presto si porta sull'argine: da un barcaiolo si fa traghettare sull'argine opposto. Ormai è nel territorio di Venezia e si sente come liberato dal peso dell'angoscia. A Bergamo cerca e trova il cugino Bortolo che lavora come dirigente in una fabbrica tessile. Bortolo riesce a trovargli un lavoro ed una prima sistemazione.



    capitolo 18
    La giustizia compie una perquisizione in casa di Renzo e interroga i suoi compaesani. Don Rodrigo intanto, si compiace dei provvedimenti contro Renzo e dal conte Attilio riceve nuovi incoraggiamenti e stimoli a proseguire nel suo proposito. Ma il suo compiacimento è turbato dalle notizie su Agnese e Lucia, riferitegli dal Griso. Egli è dunque sul punto di abbandonare l'impresa, poiché il monastero e la presenza in esso della potente Gertrude costituiscono per lui un ostacolo insormontabile. Prevale però il timore dell'onta per la sconfitta, e don Rodrigo decide così di tentare nuovamente il rapimento di Lucia, avvalendosi dell'aiuto di un nobile tristemente noto per le sue imprese criminali: l'Innominato.
    Lucia e Agnese vengono informate dalla fattoressa del convento che Renzo è ricercato per i fatti del tumulto, mentre un pescatore, incaricato da fra Cristoforo, nel confermare la relazione, aggiunge che il giovane ha trovato riparo nel Bergamasco.
    Le due donne continuano la loro vita al monastero di Monza, confortate dalle notizie rassicuranti su Renzo, che il frate invia loro tramite i suoi messaggeri. Lucia, intanto, è entrata in maggior confidenza con Gertrude e passa con lei molto del suo tempo.
    Non avendo più ricevuto notizie da fra Cristoforo, Agnese decide di abbandonare il convento e di passare da Pescarenico prima di tornare a casa. Nel suo viaggio è aiutata dal pescatore che aveva portato le prime notizie certe di Renzo.
    Giunta a Pescarenico, Agnese apprende da fra Galdino che padre Cristoforo è stato trasferito a Rimini. La donna torna così al proprio paese in preda allo sconforto.
    Il conte Attilio si rivolge ad uno zio, membro del Consiglio segreto, perché questi, che è in confidenza con il padre provinciale dei cappuccini, intervenga per far trasferire fra Cristoforo. Per convincerlo, Attilio espone, a proposito dello scontro tra il frate e don Rodrigo, una propria versione dei fatti menzognera e calunniosa.



    capitolo 19
    Il conte zio organizza un banchetto al quale vengono invitati alcuni illustri esponenti della nobiltà milanese, alcuni parassiti sempre in accordo con il padrone di casa e il padre provinciale dei cappuccini. Durante il pranzo, il conte zio guida la conversazione sul proprio soggiorno madrileno e sui privilegi accordatigli in quell'occasione; mentre il padre provinciale parla della curia romana e del prestigio dei cappuccini.
    Terminato il pranzo, il conte zio, parlando con il padre provinciale, insinua che fra Cristoforo abbia appoggiato Renzo nell'azione rivoltosa del tumulto milanese. Il religioso assicura che prenderà informazioni, e il conte è costretto a parlare anche del contrasto tra il frate e don Rodrigo. Tra velate minacce e richiami al prestigio della famiglia, il nobile suggerisce di trasferire fra Cristoforo. Dopo aver accennato a una debole difesa del frate e ad una più accesa difesa del prestigio dell'ordine, il padre provinciale giunge a un compromesso: trasferirà Cristoforo in cambio di una tangibile prova d'amicizia verso il convento di Pescarenico, da parte di don Rodrigo.
    Al convento di Pescarenico, giunge, una sera, l'ordine di trasferimento per padre Cristoforo; ma il padre guardiano lo comunicherà all'interessato solo il giorno successivo. Appresa la volontà del padre provinciale, il buon frate parte per Rimini accompagnato da un altro cappuccino.
    Viene narrata brevemente la storia dell'Innominato, le sue azioni violente, il suo atteggiamento indifferente verso la legge, verso la morale e la religione. Viene inoltre descritta sommariamente la sua dimora, posta sul confine tra il Milanese e la Repubblica veneta, in modo da poter trovare rifugio nell'uno o nell'altro stato.
    Don Rodrigo interpella l'Innominato.
    Dopo molti ripensamenti, dovuti anche alle differenze che vi sono tra lui e l'Innominato, don Rodrigo decide di richiedere il suo aiuto per rapire Lucia e di andare al suo castello con un seguito di bravi.



    capitolo 20
    Descrizione del castello dove l'Innominato conduce la sua vita solitaria: un luogo elevato selvaggio e aspro nel quale solo i suoi amici e i suoi uomini osano avventurarsi. Al castello si accede attraverso una ripida strada in salita, all'inizio della quale, quasi fosse un posto di guardia, si trova la taverna della Malanotte. Don Rodrigo vi giunge e viene accolto da un ragazzaccio armato di tutto punto. Dopo aver deposto le armi, il signorotto viene accompagnato al castello dai bravi dell'Innominato, mentre i suoi accompagnatori, ad eccezione del Griso, devono rimanere alla taverna.
    Il ritratto dell'Innominato: un uomo sulla sessantina, dalla forza straordinaria. Don Rodrigo gli chiede di far rapire Lucia.
    Seppure a malincuore, l'Innominato accetta, sapendo di poter contare sull'aiuto di Egidio, l'amante di Gertrude.
    Nella sua solitudine tremenda, l'Innominato ripensa ai suoi crimini e appare terrorizzato dall'idea della morte e del giudizio divino. Anche il pensiero del rapimento di Lucia lo turba; ma per non ascoltare la voce della propria coscienza, egli invia subito il Nibbio, il capo dei suoi bravi, da Egidio, per predisporre il piano criminoso.
    Convinta da Egidio a farsi complice del rapimento, Gertrude, nonostante le resistenze della ragazza, riesce ad inviare Lucia fuori dal convento, con il pretesto di portare un messaggio al padre guardiano dei cappuccini.
    Giunta in una strada solitaria, Lucia viene avvicinata con l'inganno dai bravi dell'Innominato e caricata a forza su una carrozza. Durante il viaggio verso il castello dell'Innominato, il Nibbio, pur bloccando con la forza i suoi tentativi di fuga, cerca di rassicurare la ragazza. Lucia, intanto, prega i suoi rapitori che la lascino andare; vista poi l'inutilità delle sue richieste, rivolge le sue preghiere a Dio.
    Nel vedere la carrozza che si avvicina alla Malanotte, l'Innominato è tentato di sbarazzarsi rapidamente di Lucia e di farla condurre direttamente da don Rodrigo. Ma un no imperioso della sua coscienza gli consiglia di tenere ancora la fanciulla presso di sé. Il nobile manda dunque a chiamare una vecchia serva e le ordina di raggiungere la carrozza e di fare coraggio a Lucia. Il ritratto fisico e morale della serva: una vecchia decrepita, pigra e stizzosa.
    Lucia arriva al castello dell'Innominato.



    FFFiuuuuu,la tastiera stà scoppiando lool
     
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  2. William Wollas
     
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    io abito a lecco! :asd: la città dei promessi sposi dove non c'è nulla dei promessi sposi ahah
     
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  3. alaafalwan
     
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    loll
     
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  4. †bennus†
     
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    Santo cielo, noi siamo al capitolo uno!:asd:
     
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  5. alaafalwan
     
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    io l'ho sempre detto che nella mia scuola si fa troppo :grr: :uh?:
     
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  6. William Wollas
     
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    io in 2 anni ho fatto 4 capitoli e pure male ahah
     
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  7. "spyro"
     
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    Io lo feci l'anno scorso e arrivammo nemmeno a metà!
    Che vergogna...comunque erano una palla enorme!
     
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  8. alaafalwan
     
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    CITAZIONE ("spyro" @ 7/11/2007, 16:50)
    Io lo feci l'anno scorso e arrivammo nemmeno a metà!
    Che vergogna...comunque erano una palla enorme!

    Quoto pienamente!
     
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  9. =Niki=
     
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    Io i Promessi Sposi li avevo già fatti in seconda liceo ma poi cambiando scuola qst'anno (in quarta) ce li fanno fare.,.
    A me nn è k dispiacciano poi così tanto anzi..
     
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  10. Picass0
     
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    I promessi sposi sono stupendi! Non me li toccate! Sicuramente mejo di Dante, almeno i promessi sn in italiano puro!
     
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  11. =Niki=
     
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    A me Dante piace tantissimo invece..Dante e tutti gli stilnovisti..
     
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  12. William Wollas
     
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    sono 2 grandi autori
     
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  13. *.:†4.d.7.D.†:.*™
     
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    Io l'ho fatto tutto l'anno scorso, ma non m'è piaciuto per niente...e infatti, le verifiche che ho fatto non sono andate troppo bene: 7- e 6/7.
     
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  14. Masadino
     
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    ... se volete ho fatto anche io il primo capitolo per la scuola.. mo lo posto se non lo volete amen XD

    I PROMESSI SPOSI: CAPITOLO 1

    Il primo capitolo si apre con un’ampia descrizione dei luoghi dove si ambientano le prime fasi dei Promessi Sposi: il lago, i monti che lo circondano, il fiume Adda, la città di Lecco e i paesini circostanti. Successivamente l’autore passa alla descrizione della dominazione spagnola in queste terre: soldati stranieri che commettono violenze, furti e soprusi. In questo contesto, Don Abbondio passeggia, come d'abitudine, leggendo il breviario, ma ad una biforcazione della strada, nei pressi di un tabernacolo dipinto, incontra i due bravi. Hanno i capelli lunghi racchiusi in una reticella dalla quale esce solo un grande ciuffo che ricade sulla fronte, e una ricchissima dotazione di armi d'ogni tipo. Don Abbondio cerca vie di fuga o eventuali testimoni, ma poi, vista l'assenza delle une e degli altri, si avvicina ai due fingendosi tranquillo. I bravi gli sbarrano la strada e gli impongono, con le minacce, di non celebrare il matrimonio tra due giovani del luogo: Renzo Tramaglino e Lucia Mondella. Don Abbondio, spaventato, si dichiara più volte disposto all'obbedienza, specie quando sente il nome di don Rodrigo, il padrone dei due bravi. Fatta la loro ambasciata i due si allontanano. Le minacce dei due bravi si inseriscono nel clima di sopraffazione che caratterizza il Ducato di Milano sotto la dominazione spagnola: i potenti possono impunemente commettere ogni tipo di violenza, mentre i deboli sono costretti a subire e non sono protetti dalla Giustizia. Fin dalla giovinezza, don Abbondio si rivela un debole e un timoroso, incapace di affrontare le difficoltà della vita in un'epoca tanto violenta*. La sua scelta sacerdotale nasce allora dal desiderio di appartenere ad una classe privilegiata e protetta e non da una vera vocazione religiosa. Ma per poter stare ancora più tranquillo, don Abbondio elabora un proprio "sistema di vita" fatto di paura, di servilismo, di opportunismo che lo induce a stare sempre dalla parte del più forte, di cattiverie verso i più deboli, di critiche a chi non pensa ai fatti propri. Parlando tra sé egli immagina le reazioni di Renzo e ripensa a ciò che avrebbe dovuto dire ai bravi. Giunto a casa propria, Don Abbondio chiama Perpetua, la sua serva. Dopo qualche esitazione, si confida con lei, ma non accetta i suoi saggi consigli. Infine, stremato, va a dormire, raccomandando alla domestica la massima riservatezza.

    * "non era nato con un cuor di leone" [Citazione di Alessando Manzoni]
     
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    Io sono l'innominato.
     
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